Ogni giorno è il giorno giusto.
Per cosa?
Per dire la nostra come se fosse la verità assoluta, come se fosse “il verbo”.
Abbiamo fatto l'Upgrade, siamo allo step successivo.
Ci siamo appropriati attraverso i social della libertà di dire tutto, il contrario di tutto, di seguire le mode, le tendenze.
Siamo passati dall'esprimere una mera opinione (sacrosanta) a giudicare, condannare, crocifiggere, mettere “bocca” nella vita degli altri, come se ne avessimo diritto.
Una deriva culturale e sociale.
Una perdita completa del senso della parola, del valore di essa, nel mentre il mondo procede per immagini delle quali sempre più spesso ignoriamo le didascalie.
Annulliamo i dialoghi, i confronti, cancelliamo domande che meriterebbero risposte, che farebbero chiarezza.
Perché la nostra idea, il nostro giudizio, la nostra condanna è definitiva, sempre appello.
Non ci si può più difendere. O meglio, gli altri non si possono difendere dal nostro giudizio “assoluto”, mentre se lo fanno con noi, ci adiriamo.
Pensate cosa accade, quando chi viene giudicato, non c'è più, non può più difendersi per davvero.
Eppure nelle ultime ore, i giudizi, le condanne verso la scelte delle gemelle Kessler sono state lapidarie.
Come si sono permesse di morire così, insieme, senza essere malate, usufruendo di un diritto sancito nella nazione nella quale erano nate e vissute.
Come si sono permesse di non andare in casa di cura, di non aver atteso la morte per come dovrebbe essere (a volte spietata, crudele, quasi imbarazzante rispetto alla vita che si è vissuta).
Come si sono permesse di andarsene così, senza chiedere il permesso.
Sindachiamo sulle vite di chi non conosciamo, pretendendo di sapere ciò che non sapremo mai.
E il punto non è chi ha torto e chi ha ragione. Non esiste torto o ragione quando si parla di diritti e di scelte personali e dunque insindacabili.
Contro la loro decisione così profondamente intima hanno letteralmente “abbaiato” (e aggiungo anche rabbiosamente) i movimenti prolife.
La loro decisione è così tanto privata e delicata che ogni parola utilizzata maldestramente per giudicare, è da considerarsi una parola di troppo.
Si può non voler vivere più anche se non si è gravemente malati.
A parte che a 89 anni, nel mentre si è vissuto consapevolmente, si è in grado di decidere per sé in piena autonomia.
Ma dietro la storia di Alice ed Ellen Kessler c'è stata una vita simbiotica. Sempre per scelta.
Per scelta hanno deciso di andarsene insieme. Forse proprio per la modalità con la quale avevano vissuto sempre sempre sempre insieme, insieme in tutto, sapevano di non poter sopravvivere al dolore della morte dell'altra prima della propria dipartita.
Forse, non avevano voglia di morire tra estranei, sole, senza l'altra, visto che per natura, una sarebbe morta prima.
E così hanno deciso.
Hanno deciso che una senza l'altra non ne valeva la pena.
Hanno deciso di farsi seppellire con il loro cane e la loro mamma.
Hanno deciso di lasciare tutto quello che avevano ad associazioni umanitarie come Medici Senza Frontiere, perché sostenevano avendone consapevolezza, che “nel mondo ci sono tante persone che hanno davvero bisogno”.
E chi siamo noi per giudicare, per dire che “hanno sbagliato”?
Come si può intromettersi con le proprie parole offensive, nella vita (e nella morte) di qualcuno che non si conosce?
Si blatera sin troppo sul significato della vita, sulla sacralità del vivere, salvo poi girarsi dall'altra parte quando si è davvero davanti al bisogno oggettivo dell'altro.
Tutti in cattedra a sputare sentenze.
Oggi è toccato alle gemelle Kessler essere bersaglio dei giudizi inutili e perversi della benpensante “umanità”.
Tutti governatori della moralità altrui.
Quando invece l'unica cosa sacra che ci resta è la libertà di scegliere circa il nostro vivere che comprende anche il nostro morire … che piaccia o no.
Io nutro invece solo una curiosità: chissà cosa si saranno dette Alice ed Ellen prima di dirsi addio.
A noi non resta che il ricordo di due donne bellissime, vissute con eleganza e autentica indipendenza in un'epoca nella quale essere belle, intraprendenti ed indipendenti era una grande figata.
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