Mi assale la paura che ormai, passato un anno nel quale spesso noi giornalisti abbiamo tenuta accesa la luce su Alberto Trentini, quella luce possa spegnersi, come le speranze di riportarlo a casa.
E allora anche oggi, a 367 giorni dalla sua ingiusta ed ingiustificata detenzione in Venezuala, diciamo a gran voce che non ci stancheremo di raccontare Alberto né tantomeno ci stancheremo di chiedere il suo rilascio e il suo rientro a casa, dalla sua famiglia.
Vorrei si immaginasse la vita della sua famiglia, di sua mamma Armanda, ottantenne, che ogni notte e ogni giorno fa i conti con una terribile realtà, quella di avere suo figlio, Alberto, in prigione dall'altra parte del mondo e - ancor più grave - non ne conosce il perché. Nessuno è stato ancora in grado di dirle perché suo figlio, è detenuto in Venezuela, a Caracas, nella più dura e disumana delle carceri, El Rodeo, ormai da più di un anno. Sì perché in questo anno si è sperato, ma - come dice la signora Armanda - si è fatto troppo poco, o forse dovremmo dire non si è fatto abbastanza.
Insomma, non si sa cosa Alberto Trentini abbia fatto per finire lì dentro. Nessuna accusa formale ha mai detto perché Alberto è lì dentro.
46 anni, veneto, una laurea in storia moderna, specializzato in assistenza umanitaria, perché quello è ciò che ha sempre voluto fare e che ha fatto, più e più volte; lo ha fatto in Nepal, in Libano, in Etiopia. Ed ora era in Venezuela, dove era arrivato nell'ottobre di un anno fa con la ONG Humanity & Inclusion. Offrire aiuto agli invalidi. Questo doveva fare Alberto.
La sua famiglia è sempre stata molto orgogliosa di lui, della vita che aveva scelto al servizio degli altri, dei bisognosi, anche se non è stato facile accettare che un proprio figlio fosse sempre in zone così lontane e spesso pericolose.
Ogni volta che partiva, informava i suoi genitori, a volte mandava proprio la cartina dei luoghi in cui sarebbe andato, inviando, quando possibile, la posizione di dove si trovata. Questo è accaduto anche il 15 novembre del 2024 ma poi nulla più. Il messaggio che diceva di essere giusto a destinazione non è mai arrivato, perché nel tragitto da Caracas a Guadsualito, era stato fermato ad un posto di blocco, consegnato al controspionaggio militare del Presidente Maduro e condotto in carcere. La notizia l'hanno appresa proprio dai responsabili della ONG. Da allora il silenzio. Il governo venezuelano non ha mai formalizzato un'accusa, pertanto ancora oggi non si conosce il motivo dell'arresto di Alberto. Fa sapere solo di stare portando avanti un processo giusto: ma giusto rispetto a che cosa? A chi?
Sua mamma lo ha sentito al telefono per pochissimi secondi solo 3 volte in un anno.
La prima volta circa 10 mesi fa, quando a Venezia era notte fonda, e dall'altra parte la voce di Alberto diceva solo: “mamma sto bene”, poi la linea è caduto.
Il 26 di luglio, Armanda ha sentito suo figlio Alberto dirle per telefono: “mamma sto discretamente bene, mangio dietetico" - per far sapere alla mamma che non mangiava a sufficienza. Ma con un tono un po' ironico, forse per non far preoccupare sua mamma, le ha detto di non prendere la macchina perché era scadura la revisione.
E l'ultima volta è stata lo scorso 10 ottobre quando Alberto ha solo detto “prendetevi cura di noi”. Perché Alberto non è l'unico italiano ad essere rinchiuso nel carcere di Maduro.
Immaginiamo lo stato d'animo di un genitore che legge l'intervista ad uno dei detenuti poi rilasciato, nella quale ha raccontato lo stato in cui versano i prigionieri. Celle piccole, condizioni igieniche precarie. L'acqua che arriva solo per mezz'ora due volte al giorno. Un'unica ora d'aria, davanti a guardie incappucciate. Alberto ha anche bisogno di medicine per una sua patologia e non si sa se stanno provvedendo a dargliele.
Chissà che uomo sarà quello che i suoi genitori riabbracceranno.
Un uomo cambiato da un incedere inesorabili di giorni difficili tutti uguali.
La presidente del Consiglio aveva promesso alla signora Armanda, che avrebbe fatto di tutto per riportarlo a casa.
È stato fatto davvero di tutto?
Il papà di Alberto non sta bene e si chiede ogni giorno se vivrà abbastanza per veder tornare a casa Alberto.
LIBERATE ALBERTO TRENTINI
